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Da artista musicale a professionista della musica: un cambio di mindset.

Nonostante i fatturati dell’industria discografica, decisamente non è un buon momento per l’artista musicale. I bassi introiti provenienti dalle app di streaming e la piaga degli introiti non riconosciuti dai social network, evidenziano degli squilibri che gli artisti musicali cercano di fronteggiare in diversi modi.

L'artista musicale deve puntare sempre più sul professionismo.
courtesy pixabay

Ai, bassi introiti dallo streaming, io aggiungerei pure il rapporto tra domanda e offerta di prodotti e servizi musicali. E’ un fatto che un’importante fetta di artisti musicali vive soprattutto sull’insegnamento. Che lo faccia in presenza o con video lezioni, anche in questo ramo la competizione si è fatta agguerrita. Insomma, la torta non basta per tutti.

Cosa deve fare un artista musicale per fronteggiare questo momento e far fronte all’evoluzione del mercato discografico?

Opinione comune è che sia necessaria un’evoluzione professionale dell’artista musicale, una ridefinizione della sua figura in cui esaltare di più le sue qualità professionali rispetto a quelle creative/artistiche: che però restano fondamentali per la sua autorevolezza.

In una realtà in cui il mercato si restringe l’importanza di emergere valorizzando le proprie qualità, le proprie unicità diventa indispensabile e i social network e i social media se usati con metodo e con criterio diventano uno strumento formidabile per questo scopo.

Questo vale per tutti i professionisti di vari campi, dal marketing all’illustrazione, perché non dovrebbe valere per l’artista musicale? Un grafico, un illustratore non sono forse figure creative che operano in un mercato con le sue regole?

La cantante Gospel Cheryl Porter da anni cura il suo canale YouTube dove distribuisce lezioni di canto e filma le esperienze fatte con i suoi giovani allievi. Un costante lavoro nel tempo l’ha portata ad avere oltre due milioni e mezzo di iscritti imponendosi tra i migliori vocal coach presenti in rete. Credi che questo non abbia influito sulla Disney quando l’ha scelta per interpretare la colonna sonora del Re Leone?

Curare la propria presenza in rete, professionalmente e non solo artisticamente, è oggi per l’artista musicale un imperativo e anche un’opportunità da non perdere.

Oltre le tue capacità tecnico/artistiche, puoi trarre frutto anche dalla condivisione delle tue esperienze professionali nel settore. Magari insegnando o offrendo consulenze sui diritti d’autore, sulla contrattualistica o altro; offrendo cioè tutte le tue conoscenze e consigli su come muoversi bene nel vasto mondo della musica, dal settore discografico a quello dell’intrattenimento.

Quante sono le cose, i servizi, che potresti offrire a tuoi colleghi o a giovani musicisti che hai imparato nella tua esperienza artistico/professionale? Prova a farne un elenco, credo rimarrai sorpreso delle competenze che hai acquisito nel corso degli anni e che molti non conoscono o non hanno mai approfondito.

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Conoscere le regole del gioco è fondamentale per vivere di musica.
Con un tono semplice e colloquiale, questo libro prende per mano il creativo in campo musicale e lo accompagna in un viaggio tra le tante questioni che deve affrontare oggi: dalla conoscenza dei diritti d’autore e connessi, all’esame delle figure professionali e dei contratti più comuni, dai fondamenti di marketing e a come promuoversi, alla distribuzione digitale e alla concreta realizzazione dei propri profili, fino all’illustrazione dei nuovi mestieri della musica che possono contribuire a dare sussistenza al creativo, realizzando così di fatto il sogno di “vivere di musica”. Non manca uno sguardo sul futuro: NFT e blockchain, intelligenza artificiale e realtà aumentata e nuovi scenari.
I molti suggerimenti pratici e i numerosi consigli, frutto di tanta esperienza concreta, arricchiscono questo lavoro, che conferma ancora una volta che il talento per quanto faccia la differenza, se non accompagnato da competenze, non basta, mentre la competenza e una buona strategia, possono certamente aiutare anche un non eccellente talento musicale.
Insomma, un bel viaggio, adatto chiunque sia appassionato di musica e voglia trasformarla in un mestiere, oppure a quei professionisti del settore che desiderino consolidare o mettere a fuoco le regole del business e del marketing musicale.
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L’ascolto di musica in streaming è democratico?

In un recente articolo apparso su Rolling Stone dal titolo Lo dicono i numeri: lo streaming funziona solo per 1% degli artisti. La giornalista Emily Blake lamenta di come app come Spotify, che avrebbero dovuto democratizzare l’ascolto musica, abbiano fallito nel loro compito perché di fatto, solo 1% degli artisti monopolizza il 90% degli stream. Il frutto di una analisi di Alpha Data durata un anno, conferma il monopolio delle grandi produzioni discografiche a danno delle piccole o delle produzioni indipendenti.

Spotify non è democratico?
courtesy pixabay.com

Forse non abbiamo avuto una democratizzazione dell’ascolto, ma è certo che la distribuzione della musica in streaming sia oggi il massimo esempio di libertà di espressione artistica. Con queste piattaforme chiunque, e intendo veramente chiunque, con poche decine di euro può rendere disponibili le sue canzoni in ogni angolo del globo: con limiti imposti da filtri tecnici più legati alla qualità del suono che a quella dell’esecuzione o artistici e praticamente con scarsi vincoli di censura; se non è democrazia questa!

In effetti il problema, a mio modesto avviso sta proprio nel chiunque può avere la sua musica in streaming.

Sempre dall’articolo di miss Blake, il CEO di Spotify Daniel Ek ha stimato che ogni giorno vengono caricate sulla piattaforma qualcosa come 40 mila canzoni.

Sono numeri veramente importanti, che però saturano il mercato e molto probabilmente siamo in quella situazione in cui l’offerta di musica è di molto superiore alla richiesta.

La musica distribuita sulle piattaforme di streaming ha favorito il processo di disintermediazione tra artisti ed etichette eliminando il filtro del direttore artistico, cioè la figura che decide se una canzone è degna o meno di essere pubblicata. Nel chiunque può avere la sua musica in streaming ci sono migliaia di produzioni indipendenti, magari di musicisti non professionisti, che oggi possono far conoscere la loro musica al mondo, cosa che gli era negata ai tempi dei supporti digitali.

Aver creduto che nel mondo ci fossero miliardi di ascoltatori curiosi di ascoltare musica nuova e diversa dalle loro abitudini credo sia stata una delle più grosse ingenuità dei nostri tempi. Gli ascoltatori sono per lo più abitudinari e non amano perder tempo alla ricerca di cose nuove, di nuovi orizzonti musicali o nuove praterie sonore. È sempre stato così, sempre così sarà.

Come può allora il musicista professionista far emergere la sua opera in questo caotico oceano di produzioni musicali? È una domanda che ha una risposta semplice: il marketing, in particolare lavorando sul personal branding e poi sul marketing legato alla sua musica, al suo prodotto discografico.

Certo il marketing non può risolvere il problema di un mercato che subisce un eccesso di offerta, ma certo un progetto di marketing ben pianificato e costruito può riuscire a far conoscere l’artista e la sua opera ai fan potenziali.

Ma vedi, le cose stavano così anche prima dello streaming, forse erano anche peggio: quanti sono gli artisti che hanno penato perché continuamente rimbalzati dalle case discografiche? Quante sono le belle canzoni che non hanno avuto un riscontro immediato di pubblico perché non distribuite adeguatamente o sui canali giusti?

Oggi qualsiasi musicista ha la possibilità di confrontarsi direttamente con il pubblico senza filtri e senza intermediazioni. E il pubblico, potenzialmente, ha la possibilità di ascoltare qualsiasi cosa venga prodotta sul nostro pianeta. Non è forse democrazia questa?

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La vittoria di Pirro del vinile

È notizia di questi giorni che negli Stati Uniti, dopo 34 anni, la vendita di dischi in vinile supera quella dei più moderni CD, un contro sorpasso che, nella sostanza, non cambia lo scenario del mercato discografico. Ma vediamo un po’ di numeri.

Il vinile sorpassa il CD
courtesy pixabay.com

Nell’ultimo rapporto della RIAA, Recording Industry Association of America, certifica che nei primi mesi primi sei mesi del 2020 il vinile ha fatturato 232,1 milioni di dollari a fronte dei soli 129,9 milioni di dollari incassati dai CD.

Ma prima di cantar vittoria, bisogna considerare che le vendite di supporti fisici sono diminuite complessivamente del 23% nella prima metà di quest’anno. Il sorpasso del vinile è dovuto al crollo di vendite di CD sceso del 48%, mentre le vendite dei vinili hanno iniziato a salire.

Nel dettaglio, il totale dei ricavi nella prima metà dell’anno, 376 milioni di dollari, il 62% di questi è derivato dalle vendite di vinili, 232 milioni di dollari. I CD si sono portati a casa soli 120 milioni di dollari. In questo contesto, sebbene le vendite digitali siano diminuite del 22%, per un totale di 351 milioni di dollari, bisogna tener presente che il vinile gode solo del 4% del mercato della musica registrata.

A dominare resta lo streaming musicale, il cui valore del mercato digitale cresce del 12%, rappresentando l’85% delle entrate totali per le case discografiche. Da notare anche che gli abbonamenti ai servizi di streaming a pagamento sono aumentati del 24%.

Queste cifre, se non altro confermano che il consumo di musica è irreversibilmente orientato verso lo streaming, ma che esiste anche l’interessante nicchia degli amanti del vinile, un pubblico esigente che ama supporti di qualità, ben registrati e con un packaging memorabile.

Un esempio di come il vinile non sia da sottovalutare è l’ultimo lavoro di Roberto Vecchioni, l’album L’infinito del 2018, che con le sue 30.000 copie vendute e l’assenza sulle piattaforme di streaming ha scommesso su un pubblico selezionato, ma l’ha fatto con un’operazione commerciale ben costruita e pianificata.

Leggi il report della RIAA in pdf

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L’evoluzione discografica: così va il mondo, baby!

Il concetto di crisi non è certo nuovo nel settore discografico, ma a differenza di altri settori molti lo intendono in senso assolutamente positivo e, nonostante le difficoltà del periodo e le apparenze, potrebbero avere ragione. Nella discografia infatti ogni rivoluzione tecnologica ha ampliato le modalità tramite cui gli artisti raggiungono il loro pubblico.

Dobbiamo tener presente che l’industria discografica è composta da due elementi cardini: l’elemento creativo, ovvero la musica; e l’elemento tecnologico, ovvero il supporto musicale. Entrambi gli elementi sono in continua evoluzione: ogni volta che una crisi coinvolge l’elemento creativo, si assiste alla nascita di un nuovo genere musicale, quando invece tocca l’elemento tecnologico, si ha la creazione di un nuovo medium. Ad ogni nuovo supporto meccanico corrisponde un diverso modello di distribuzione.

L'evoluzione dell'industria discografica
courtesy pixabay.com

Già all’inizio del secolo scorso, quando iniziarono a circolare i primi supporti fonografici, i musicisti pensarono che la musica dal vivo avrebbe subito la loro concorrenza sleale; lo stesso è accaduto con tutte le successive innovazioni tecnologiche: vinili, radio, per non parlare delle musicassette, primo esempio di copia domestica. Anche il passaggio tra vinile e CD e la registrazione digitale hanno portato una rivoluzione nella struttura del mercato musicale.

Ma è con le reti peer-to-peer che il supporto meccanico perde la sua dimensione materiale trovando le case discografiche prive di un business model capace di mantenere il valore dell’enorme investimento fatto sui loro musicisti. Tramite il download dalle reti peer-to-peer gli utenti possono acquisire il risultato di una produzione milionaria a costo zero, annullando il valore economico del prodotto.

La lotta alla pirateria musicale e nuovi regolamenti internazionali hanno pesantemente ridimensionato il download illegale sulle reti peer-to-peer, ma ciò che più di ogni altra cosa ha cambiato il mercato discografico è stata la distribuzione di musica in streaming dove, con un abbonamento relativamente modesto, oggi il pubblico può ascoltare qualsiasi cosa in ogni dove, purché abbia almeno un dispositivo collegato ad una rete. Non ha qualcosa di miracoloso questo?

Fino all’arrivo della pandemia da Covid-19, la musica dal vivo pur subendo qualche fluttuazione, non ha mai subito periodi di crisi profonda. L’industria della musica live, infatti, è basata sull’idea di creare opportunità di relazione tra le persone: tra fan di un artista e tra l’artista e i suoi fan. Le ferree regole di distanziamento sociale hanno messo in crisi questo sistema che oggi sta cercando nuovi metodi per poter superare questo periodo incerto e difficile.

Come musicista, come artista creativo, non puoi comunque ignorare il fatto che una casa discografica è comunque un’attività d’impresa che investe una determinata somma di denaro per perseguire un risultato economico non garantito. Nelle imprese, generalmente, maggiore è il capitale investito in una attività, maggiore è la percentuale dei profitti ricavati.

Si calcola però che una casa discografica investe circa il 30% del suo fatturato annuo per produrre e promuovere nuovi prodotti discografici e nuovi artisti, il che corrisponde alla metà degli investimenti fatti dal settore farmaceutico che però sono molto più remunerativi.

È perciò chiaro che, per sostenere le spese, una produzione discografica deve poter sfruttare al meglio i guadagni percepiti sui propri successi, in modo da controbilanciare le perdite legate alle scommesse andate storte.

Così oggi ci troviamo con case discografiche che curano le loro produzioni a 360° gradi, iniziando con il prodotto album, passando per il management dell’artista, l’organizzazione dei live e infine con il merchandising. Sono soprattutto queste ultime due voci che portano contante fresco e veloce nelle casse degli editori. Questo è anche dovuto al fatto che i ricavati dallo streaming o dagli store digitali non sono così soddisfacenti come quelli del supporto fisico.

In questo contesto, puoi ben capire come un editore discografico non abbia più la forza, e la voglia, di coltivare la crescita di un artista, ma preferisca rivolgere la sua attenzione verso coloro che già si sono costruiti una fanbase e hanno trovato un riscontro positivo dal pubblico. Su questo, una struttura aziendale può lavorare in termini di produzione e promozione con margini di rischio meno elevati.

Nel settore questo tema suscita talvolta anche dibattiti molto accesi sui pro e i contro della situazione che è andata a crearsi con il tempo. Non mi dispiacerebbe conoscere anche la tua opinione in proposito.

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La mucca viola. Farsi notare (e fare fortuna) in un mondo tutto marrone

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La mucca viola è il libro che ha consacrato Seth Godin come uno degli autori business più amati e ha lanciato un movimento globale che ha ridefinito le basi del marketing. Il solito marketing e i grandi investimenti sui media tradizionali non funzionano più. Oggi il marketing comincia dall’idea del prodotto, che deve essere straordinario, diverso, innovativo per poter catturare l’attenzione dei clienti e far parlare spontaneamente di sé. È questo elemento di magia e unicità a far sì che realtà come Apple, Google, Ikea, Starbucks o la bottega del macellaio toscano Dario Cecchini continuino a macinare successi, mentre grandi industrie affermate arrancano e non riescono a stare al passo.
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