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6 cosine basiche su YouTube e royalty

YouTube può essere una piattaforma redditizia e in grado di aumentare il tuo pubblico, ma tende anche a confondere anche gli utenti più esperti quando si tratta di monetizzare i video e presentare reclami sul copyright. Oggi vorrei concentrarmi su come il social media di Google si comporta con le royalty musicali, perché c’è molta confusione sull’argomento e questo porta gli artisti musicisti verso scelte non corrette.

YouTube e le royalty
courtesy by pixabay.com
1. Riscuotere royalty su video caricati da altri utenti.

In qualità di cantautore, hai il diritto di monetizzare e riscuotere royalties da qualsiasi utilizzo delle tue canzoni. Gli editori possono rivendicare qualsiasi video di YouTube che contenga musica controllata da loro e dai loro autori, sia che si tratti di una registrazione ufficiale, di un’esibizione dal vivo, di una cover o di un remix. Questo vale per qualsiasi uso, anche se non hai caricato tu stesso il video. Una volta che il tuo publisher ha avviato una rivendicazione, può scegliere di monetizzare quel video e riscuotere le royalty.

2. Monetizzare le tue composizioni su YouTube

Le canzoni guadagnano royalties in due modi : dalla registrazione principale (file audio effettivo) e dalla composizione (musica e testi sottostanti). La maggior parte delle etichette discografiche o dei distributori controllano solo le registrazioni principali e quindi possono riscuotere solo le royalty generate dalla registrazione principale su YouTube. Agli autori sono dovute anche le royalty generate dalla loro composizione; è probabile che tu non li ottenga tramite la tua etichetta o distributore. Dovrai registrare tu stesso le tue composizioni su YouTube o tramite un Music Publishing Administrator per riscuotere ciò che le tue canzoni hanno guadagnato sulla piattaforma.

3. I video senza pubblicità non generano royalty

Poiché le royalty di YouTube sono essenzialmente una parte delle entrate pubblicitarie, i video di YouTube non generano royalty fino a quando un annuncio non è stato pubblicato da un titolare del copyright. Questa operazione viene eseguita quando un’etichetta, un editore o un altro proprietario di contenuti presenta una richiesta e quindi indica a YouTube di monetizzare quel video.
Se un video di YouTube non ha una pubblicità riprodotta prima, durante o accanto, non genera alcuna royalty per i titolari dei diritti associati. Un’eccezione a questa regola sono le clip di YouTube visualizzate tramite la piattaforma di contenuti a pagamento senza pubblicità YouTube Premium. Per poter monetizzare un video, il canale dove è caricato deve rispondere a dei requisiti minimi che vedremo nel punto 6.

4. C’è un tasso di royalty fisso per vista

E’ noto che i tassi di royalty su YouTube sono confusi. Dipendono dal tipo di annuncio offerto sul video, dal territorio in cui è avvenuta la visualizzazione, dal periodo dell’anno, dal servizio YouTube (gratuito o premium) e da molti altri fattori: per esempio si è notato che le pubblicità associate ai video musicali e all’intrattenimento, in genere, sono tra le meno redditizie. Per questo motivo, è molto difficile stimare esattamente quanto guadagnerà un video in termini di entrate pubblicitarie.

5. Rivendicare un video non chiude il canale di un altro utente

Un canale YouTube riceve un avvertimento sul copyright quando un titolare dei diritti invia una richiesta formale di rimozione informando YouTube che non dispone dell’autorizzazione per pubblicare i suoi contenuti. YouTube prende molto sul serio gli avvertimenti sul copyright; dopo tre di essi, tutti i video di un canale vengono rimossi e potrebbero essere soggetti a chiusura. D’altra parte, quando un titolare dei diritti presenta un reclamo su un video per monetizzarlo, non assegna al canale dell’utente che l’ha caricato un avvertimento sul copyright né lo mette in cattiva posizione con YouTube. Un buon compromesso, davvero.

6. Quando un video su YouTube può essere monetizzato

YouTube ha delle soglie minime che devono essere soddisfatte prima che un video possa essere monetizzato. Ad esempio, il canale su cui viene pubblicato il video deve avere almeno 1.000 iscritti e ha registrato 4.000 ore di visualizzazione negli ultimi 12 mesi.

Se vuoi crearti un canale artista, YouTube è un ottimo strumento per creare e condividere contenuti, promuovere la tua musica e, in definitiva, generare royalties. Ma prima di arrivare a questo devi avere i requisiti del punto 6 e, come in ogni altro social, catturare un pubblico attento e affezionato richiede metodo, pazienza e costanza.


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di Massimiliano Titi
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Quali social pagano royalty?

Ho raccolto un po’ di informazioni su quali piattaforme riconoscano royalty per la musica presente nei contenuti pubblicati dagli utenti.

Preciso già da subito che questa guida non credo sia completa e nemmeno esauriente, ma potrebbe comunque risultare utile per sfruttare al meglio le opportunità offerte dal rapporto tra musica e social. Tieni anche presente che questo articolo fotografa la situazione di questi mesi, come in qualsiasi settore, i processi cambiano e le informazioni in futuro potrebbero non essere aggiornate.

Quali social pagano royalty?
coutesy by pixabay.com
Instagram

Instagram paga le royalty di pubblicazione e master per la musica che gli viene inviata tramite i distributori. Instagram ha integrato la gestione delle licenze musicali recentemente, ma sta lavorando alla creazione di un sistema di gestione dei contenuti (CMS), simile a quello di YouTube. In questo momento, molti detentori dei diritti hanno accordi unici e licenze generali con Instagram, garantendo pagamenti ai loro cantautori e artisti. Per verificare se il tuo distributore, editore o società di raccolta ha un accordo attuale con Instagram, puoi contattare direttamente i loro team di supporto.

Youtube

YouTube tiene traccia e paga le royalty in diversi modi. Oltre a pagare le royalty master e di pubblicazione in base agli ISRC associati al caricamento dei video, utilizza anche un sistema chiamato Content ID per tenere traccia di altri usi. Con Content ID, YouTube è in grado di scansionare e identificare i video che utilizzano la tua canzone. Il meccanismo di calcolo delle royalty di YouTube può essere complesso, inoltre le riceverai solo se il canale dove è pubblicato il video soddisfa le loro soglie monetarie. Questo significa che, affinché YouTube possa inserire annunci e monetizzare un video, questo deve trovarsi su un canale con almeno 1.000 iscritti e 4.000 ore di visualizzazione negli ultimi 12 mesi.

Tic toc

La piattaforma di TikTok si concentra principalmente sul consentire agli utenti di abbinare la musica a brevi video clip di 15 secondi. Tuttavia, mettere semplicemente la tua musica su un video nell’app non ti farà ottenere royalties: un artista deve distribuire la propria musica tramite un distributore affinché sia ​​disponibile e monetizzabile. Devi anche essere registrato con una società di raccolta, come un PRO come SIAE, ASCAP, BMI, SESAC e avere un editore o un amministratore di pubblicazione, per riscuotere le royalty di pubblicazione. Poiché TikTok è una nuova applicazione, stanno ancora lavorando su accordi per concedere in licenza la musica con vari titolari di diritti. Dovrai verificare con il tuo distributore, società di riscossione ed editore per assicurarti che dispongano di licenze con TikTok per riscuotere le royalty per tuo conto. Se sono concessi in licenza, è lecito presumere che la tua musica riscuoterà royalties per ogni utilizzo sulla piattaforma.

Twich

Twitch è la piattaforma di livestreaming di proprietà di Amazon.com. E’ popolare tra i videogamers che trasmettono in diretta le loro giocate. Negli anni è diventato una delle piattaforme più usate per gli eventi in streaming. Attualmente, lo streaming di musica su Twitch può farti guadagnare royalty, ma limitatamente. Solo recentemente Twitch ha firmato un accordo di licenza con SACEM (la SIAE francese) e ha rilasciato il suo nuovo prodotto: Soundtrack. Con il servizio Soundtrack, uno streamer Twitch trasmetterà contemporaneamente il proprio video utilizzando le musiche presenti nel catalogo Soundtrack con relativa licenza sul servizio. Ciò significa che le royalty di pubblicazione e master saranno disponibili per coloro che hanno una licenza con Twitch. Come Instagram, ti consigliamo di verificare con il tuo distributore ed editore per vedere se hanno licenze con Soundtrack per Twitch. Puoi anche eseguire brani selezionati con l’estensione Twitch Sings, ma i brani sono concessi in licenza con un distributore di karaoke.

Splice

Questo servizio consente ai musicisti di caricare i propri campioni, ritmi ed effetti per l’uso da parte di altri. Quando carichi i tuoi beat su Splice, vieni pagato quando qualcuno li scarica e li usa. Le royalty non vengono prese in considerazione perché tutto sul sito Web di Splice è esente da royalty al 100% e autorizzato per l’uso commerciale. Ciò significa che verrai pagato da Splice per un produttore che scarica un beat che hai caricato, ma non riceverai royalties se caricano la canzone su Spotify. Piuttosto semplice, no?

BeatStars

BeatStars è un marketplace per i produttori hip-hop per connettersi con artisti e rapper in cerca di ritmi. Chiunque può iscriversi, mettere in vendita i propri beat e creare contratti unici di “beat lease”. Il produttore è in grado di stabilire determinati limiti su come l’artista può utilizzare il proprio ritmo e quali diritti sono divisi tra loro e l’artista. Come artista o produttore, è importante leggere i tuoi contratti quando stipuli un contratto di locazione beat. Nella maggior parte dei casi, un produttore e un artista si divideranno le royalty di pubblicazione e master . In una licenza esclusiva, i diritti master vengono trasferiti all’artista, ma il produttore manterrà i diritti di pubblicazione.

Come vedi, non è scontato che per ogni riproduzione on line della tua musica ti vengano riconosciuti dei corrispettivi. Per questo, sopratutto se sei un artista musicista che si autoproduce, è necessario che tu scelga bene la piattaforma e i servizi di distribuzione su cui poni le basi della tua carriera. Chi si affida ad un’etichetta discografica in genere non deve preoccuparsi di questo, ma qualsiasi caso, come vedi, essere un musicista professionista oggi più che ieri richiede una conoscenza precisa sulle dinamiche dei mercati digitali e sul valore delle opportunità offerte.


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YouTube e le royalties

Sappiamo che Youtube può rivelarsi molto redditizia per un artista musicista, in termini generali è seconda solo a Spotify, con il piccolo vantaggio che l’artista può guadagnare sia dalla musica sia dal video quando entrambi sono esclusivi e di proprietà: per questo l’uso di video royalty free è sconsigliato, in quanto potrebbe generare conflitti di proprietà.

Youtube e le royalties
courtesy by pixabay.com

Su YouTube vengono generate royalties per la componente video, le registrazioni audio e le composizioni attraverso le entrate pubblicitarie, sulla base delle rivendicazioni dei titolari dei diritti che controllano i contenuti del video. Inoltre, YouTube riconosce royalties meccaniche e di performance per i cantautori e qualsiasi video che contiene una canzone, anche il video di una cover o di un’esibizione dal vivo, può essere monetizzato dagli editori.

In qualità di cantautore, nel senso esteso di interprete, autore o entrambi, hai il diritto di monetizzare e raccogliere royalties da qualsiasi utilizzo delle tue canzoni.

Gli editori possono rivendicare qualsiasi video su YouTube su qualsiasi canale che contenga musica controllata da loro e dai loro autori, indipendentemente dal fatto che il video contenga una registrazione ufficiale, un’esibizione dal vivo, una versione di copertina, ecc., indipendentemente dal fatto che tu abbia caricato o meno il video. Una volta che il tuo editore o distributore ha una rivendicazione su un video, può decidere di monetizzare quel video raccogliendone le royalties sempre che il video abbia i requisiti richiesti per essere monetizzato.

Sappiamo che le canzoni guadagnano royalties in due modi: dalla registrazione principale, il file audio effettivo, e dalla composizione, musica e testi sottostanti. La maggior parte delle etichette discografiche e dei distributori controllano solo le registrazioni principali, pertanto raccolgono solo le royalties generate dalla registrazione principale su YouTube.

In qualità di cantautore, ti sono anche dovute le royalties generate dalla composizione e potresti non riceverle da YouTube tramite la tua etichetta o distributore. Per recuperare queste royalties dovrai rivolgerti ad una società di collecting che ne curi la raccolta.

Devi tener comunque presente che i video su YouTube non generano royalties finché non viene pubblicato un annuncio su di essi. Le royalties su YouTube sono in pratica una parte delle entrate pubblicitarie. Gli annunci vengono pubblicati sui video solo da un titolare del copyright (un’etichetta, un editore e così via) che presenta una rivendicazione su un video e indica a YouTube di monetizzare quel video.

Un video su YouTube che non ha una pubblicità prima, durante, dopo o nella pagina, non sta generando alcuna royalties per i titolari dei diritti del contenuto. Questo non vale per i canali di contenuti a pagamento come YouTube Red e YouTube Music che generano regolarmente royalties  dalla visualizzazione dei video.

I tassi di royalty anche su YouTube restano il punto dolente perché dipendono da molti fattori difficilmente decifrabili. Le tariffe dipendono dal tipo di annuncio offerto sul video, dal territorio in cui è avvenuta la visualizzazione, dal periodo dell’anno, dalla piattaforma YouTube, a pagamento o meno, e da molti altri fattori. Per questo motivo, è molto difficile stimare quanto guadagnerà un video in entrate pubblicitarie.

Al fine di tutelare gli artisti e i titolari dei diritti audio video, Il canale di Google ha creato un sistema, ancora imperfetto ma comunque ampiamente collaudato, di avvertimenti sul copyright che può incidere negativamente sul canale che ha caricato il video.

Un canale YouTube riceve un avvertimento sul copyright quando un titolare dei diritti notifica formalmente a YouTube che l’autore del caricamento non è autorizzato a pubblicare i contenuti in un video e invia una richiesta legale per rimuovere il video da quel canale.

YouTube prende molto sul serio questi avvertimenti sul copyright; dopo tre avvertimenti, tutti i video su un canale vengono rimossi e il canale è soggetto a chiusura.

Devi comunque sapere che se un uploader usa una tua canzone, per esempio come base per il suo video delle vacanze, grazie al YouTube Audio Fingerprint il social media di Google riconosce il brano e ti destina le eventuali royalties tramite il tuo distributore o editore.

Dal febbraio 2018, YouTube ha deciso di porre delle soglie per la monetizzazione dei video. Ciò include che i video devono essere su un canale che ha almeno 1.000 iscritti e 4.000 ore di visualizzazione negli ultimi 12 mesi per essere idonei a inserire annunci sui tuoi video e quindi essere monetizzati.

Raggiungere questi risultati come creatore indipendente non è proprio facilissimo e richiede tempo e costanza. Per questo, se hai un editore, è preferibile pubblicare i tuoi video sul canale ufficiale dell’ etichetta che, se non è appena nata, avrà sicuramente un canale YouTube ben frequentato e abilitato a monetizzare.


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Le persone sono semplici da comprendere: vogliono essere ascoltate, gratificate e apprezzate. Possiamo identificare il principio di qualsiasi attività di marketing in una semplice domanda: “Dimmi chi sei”. Un quesito che bisogna rivolgere prima a se stessi, per mettere a fuoco la propria identità, e poi al pubblico che si vuole ottenere. “Dimmi chi sei” è la domanda chiave che permette di entrare in contatto con la propria audience e che permetterà di sviluppare una narrazione che parli del proprio pubblico. In questo libro Riccardo Scandellari, esperto di marketing e personal branding, invita a rivolgersi verso un tipo di marketing più umano, etico e concreto. Una scelta che permette di distinguersi nettamente dalla folla di concorrenti e improvvisati che sul web fanno a gara a chi urla più forte, per parlare con il pubblico (ma soprattutto ascoltarlo) in modo più onesto, catturarne l’attenzione e conquistarlo con l’impegno, la condivisione e la relazione.
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Spotify: la rivoluzione è fallita?

La via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni.
(proverbio)

Spotify si è presentata sul mercato nel 2008, distinguendosi da altre altre piattaforme online, come Napster per esempio, che non riconoscevano alcun diritto a etichette e artisti. Erano gli anni in cui c’era un serio problema di pirateria musicale e Spotify è stata la prima a riconoscere un contributo concreto ai produttori di musica: etichette e artisti.

Spotify: la rivoluzione è fallita?
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Proseguendo in quest’ottica, più recentemente Spotify ha sposato il nobile obiettivo di fornire a un milione di artisti l’opportunità di vivere della propria arte. Un nobile obiettivo che però, ad oggi resta solo una buona intenzione.

Oramai è statisticamente verificato che il numero di artisti che guadagnano sufficientemente per vivere dalle entrate dello streaming rimane di gran lunga inferiore al milione (in tutto il mondo!). Spotify attualmente paga una media di $ 0,00437 USD per streaming, il che significa che servirebbero 360.000 stream al mese perché un artista guadagni una sorta di salario minimo. La cruda realtà è che si tratta anche di un numero di ascolti irraggiungibile per la maggior parte degli artisti presenti sulla piattaforma svedese.

Questo è dovuto al fatto che Spotify non paga direttamente gli artisti per ogni singolo streaming, ma usa una base proporzionale (Vedi Qui) che riconosce agli artisti musicali una percentuale di royalties proporzionata alla loro quota di tutti i flussi sulla piattaforma in un determinato periodo. Questo modello di retribuzione porta a grandi pagamenti per gli artisti che dominano lo streaming, ma si traduce in compensi quasi trascurabili per artisti più piccoli.

Sono noti casi di artisti meno famosi che si sono visti riconoscere poche decine di euro di fronte a milioni di stream dei loro brani. D’altra parte, il modello proposto dal CEO di Spotify Daniel Ek, che invita l’artista interagire continuamente con i fan e pubblicare più musica per aumentare le royalties (un singolo al mese!), va a sbattere contro la realtà delle spese che l’artista deve sostenere per produrre la sua musica, sia che si appoggi ad una etichetta, sia che si auto produca. I ricavi distribuiti dalla piattaforma restano insufficienti per compensare questo sforzo continuo.

Si deve poi tener conto che comunque gli artisti non ricevono direttamente il denaro dalla piattaforma, ma dalla loro etichetta o dal distributore che hanno scelto. Le cifre che perciò arrivano al musicista possono variare a seconda degli accordi con l’etichetta o del costo del servizio di distribuzione. Per farti un’idea, ti basti sapere nel 2017, solo il 12% delle entrate dell’industria discografica sono finite nelle tasche degli artisti musicali.

Esistono comunque modelli di pagamento diversi e più remunerativi per l’artista musicale, come quello della piattaforma francese Deezer. Un modello in cui se un utente ascolta esclusivamente un singolo artista sul proprio account, quell’artista riceverà tutte le royalty generate dagli stream di questo utente.

Esiste uno studio che sembra dimostrare che il modello di Deezer sia più equilibrato rispetto al metodo utilizzato da Spotify, la quale, in sua difesa dichiara che impone costi costi amministrativi aggiuntivi per calcolare il valore dei flussi di ogni utente e questo potrebbe effettivamente tradursi in meno guadagni per gli artisti.

Insomma il buon proposito di Spotify per far vivere il musicista della sua musica è rimasto tale, una buona intenzione.

Prima dell’avvento delle piattaforme di streaming, il problema più importante per etichette ed artisti, era la pirateria, soprattutto attraverso canali peer to peer, che distribuiva gratuitamente file .mp3 senza riconoscere alcuna royalty.

Se da un lato lo streaming musicale e una pesante repressione internazionale hanno ridimensionato il fenomeno della pirateria, dall’altro ha causato un crollo verticale nelle vendite di cd e mp3 che sono molto più redditizi per chi crea musica.

Inoltre, i servizi di streaming non si limitano a rendere la musica più accessibile, ma i loro ecosistemi finiscono per influenzare l’ascolto. Sebbene i servizi di streaming siano stati concepiti e presentati come una grande opportunità per artisti più piccoli e indipendenti, che possono promuovere la loro musica senza il supporto di grandi etichette discografiche, è piuttosto chiaro che il modello di pagamento di Spotify non consente alla stragrande maggioranza degli artisti di ottenere un reddito vivibile dalla loro musica.

L’abbondanza di playlist, algoritmiche o redazionali, può creare negli ascoltatori l’illusione di una libertà di scelta, ma resta il fatto che la maggior parte degli slot nelle playlist principali di Spotify sono inaccessibili a tutti tranne che alle grandi etichette.

Per quasi tutti gli operatori del settore, discografici e musicisti, è chiaro che se Spotify vuole raggiungere il suo obiettivo di consentire a un milione di artisti di vivere della propria musica, dovrebbe riconfigurarsi per retribuirli meglio e con meccanismi più equi, in modo di gratificare almeno quegli emergenti che accolgono un .

Sebbene Spotify si presenti come una grande opportunità per le auto produzioni, è convinzione diffusa che il suo ecosistema sia troppo sbilanciato verso gli interessi delle major discografiche. Se le cose restano così, la rivoluzione delle piattaforme streaming può considerarsi fallita, lasciandole solo come un altro elemento dell’industria musicale che sottovaluta artisti e musicisti.


Le 42 leggi universali del digital carisma: La fusione tra vita digitale e reale è il futuro della comunicazione

di Rudy Bandiera
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Si è sempre erroneamente sostenuto che la vita reale e la vita digitale siano distinte, generando errori semantici più volte perpetrati dai media quali “il popolo della Rete”, come se offline il popolo fosse un altro! La verità è diversa: la vita reale e la vita digitale sono due facce della stessa medaglia, anzi sono la stessa faccia della stessa medaglia, ormai talmente fuse in un unico plasma che si potrebbero immaginare come due liquidi di diverso colore lasciati liberi di miscelarsi in un nuovo cromatismo, non più separati ma uniti, amalgamati. Si è sempre parlato di personal branding abbinato alla personalità online e di carisma associato a una tipologia di personalità offline ma, se on e off sono saldati, allora lo saranno anche personal branding e carisma. Il carisma è qualcosa che può essere coltivato anche in ambito digital ovvero anche in non-presenza, dove non occorre la fisicità. Sì, per la prima volta nella storia siamo di fronte a un nuovo modo di approcciarci alla realtà: attraverso la vita reale (VR) e la vita digitale (VD).
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Le royalties musicali su YouTube

Per l’ascolto della musica in streaming il canale più utilizzato, dopo Spotify è YouTube. Si, proprio per l’ascolto, non necessariamente per la visione dei video. Generalizzando, potrei dire che Spotify è l’app preferita dai Millennials, mentre YouTube è l’app preferita dai Boomers.

Le royalties musicali su You Tube
courtesy Pexels.com

La gara per il podio tra le due piattaforme è piuttosto agguerrita e YouTube in questi anni non è stata indifferente alla scalata di Spotify tanto che ha aperto un servizio parallelo chiamato YouTube Music per offrire un’esperienza d’ascolto più leggera, adatta ai dispositivi mobili.

Anche YouTube, ovviamente, può essere una piattaforma redditizia per creatori, artisti e cantautori. I video contenenti musica su YouTube possono generare royalties anche per la componente video, oltre che per le registrazioni audio e le composizioni. Lo fa attraverso le entrate pubblicitarie, sulla base delle rivendicazioni dei titolari dei diritti che controllano i contenuti di tali video.

I video di YouTube monetizzati generano royalties meccaniche e di performance per i cantautori e qualsiasi video che contiene una canzone, anche il video di una cover o di una performance dal vivo, può essere monetizzato dagli editori.

La cosa interessante è che gli editori possono rivendicare qualsiasi video su YouTube su qualsiasi canale che contenga musica controllata da loro e dai loro autori, indipendentemente dal fatto che il video contenga una registrazione ufficiale, un’esibizione dal vivo, una cover o altro.

Quando una piattaforma di distribuzione carica su YouTube un brano, a questi viene assegnato un codice, un Content ID, ogni volta che il brano viene utilizzato in un video, l’editore può scegliere di monetizzare quel video e raccogliere le royalties, se il video è idoneo. Ho visto personalmente casi in cui video amatoriali di vacanze monetizzare più del video ufficiale.

Su You Tube le canzoni guadagnano royalties in due modi: dalla registrazione principale, il  file audio effettivo e dalla composizione, musica e testi. Devi tener presente però che la maggior parte delle etichette discografiche/distributori controllano solo le registrazioni principali, pertanto raccolgono solo le royalties generate dalla registrazione principale su YouTube. Se sei un cantautore, ti sono anche dovute le royalties generate dalla composizione e potresti non riceverle da YouTube tramite la tua etichetta o distributore. In questi casi, per raccogliere questi diritti dovresti iscriverti ad una società di collecting.

Le royalties generate da YouTube sono essenzialmente una parte delle entrate pubblicitarie. Gli annunci vengono pubblicati sui video solo da un titolare del copyright, un’etichetta per esempio, che rivendica un video e dice a YouTube di monetizzare quel video. Ovviamente, vengono generate royalties anche per i video di YouTube visualizzati tramite i servizi di contenuti a pagamento come YouTube Red e YouTube Music.

I tassi di royalties su YouTube dipendono da molti fattori e sono notoriamente fonte di confusione. Le tariffe dipendono dal tipo di annuncio offerto sul video, dal territorio in cui è avvenuta la visualizzazione, dal periodo dell’anno, dalla piattaforma YouTube, a pagamento o meno, e da molti altri fattori. Per questo motivo, è molto difficile stimare quanto guadagnerà un video in entrate pubblicitarie.

Per monetizzare con i video su YouTube è necessario che il canale che li ospita raggiunga determinate soglie. In pratica, i video devono essere su un canale che abbia almeno 1.000 iscritti e 4.000 ore di visualizzazione negli ultimi 12 mesi. Solo in questo caso i video possono essere monetizzati sia nella parte visiva, che nella parte sonora.

Ci sono distributori importanti come The Orchard o Believe Digital, che comunque raccolgono le royalties sonore da YouTube, riconoscendo la musica da loro distribuita tramite il Content ID, anche se pubblicata in un canale che non monetizza o usata in altri video, come nel caso di video amatoriali per esempio. Altri distributori, come Distrokid per esempio, chiedono una piccola quota annua per richiedere il Content ID su YouTube.

Se sei un musicista indipendente, pubblicare video sul tuo canale YouTube sarebbe cosa buona; se invece hai un contratto con un’etichetta, te lo sconsiglio. Sicuramente il canale dell’editore ha già gli standard per monetizzare il video nella sua interezza, audio e video. Inoltre, avrà già un bacino ampio di iscritti a cui far vedere il tuo nuovo video.


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I molti suggerimenti pratici e i numerosi consigli, frutto di tanta esperienza concreta, arricchiscono questo lavoro, che conferma ancora una volta che il talento per quanto faccia la differenza, se non accompagnato da competenze, non basta, mentre la competenza e una buona strategia, possono certamente aiutare anche un non eccellente talento musicale.
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Cosa sono le royalties meccaniche?

Il termine royalties meccaniche nasce all’inizio del XX secolo con la nascita dei primi supporti fonografici, oggi le royalties meccaniche vengono riconosciute all’artista musicale ogni volta che la sua musica viene riprodotta e venduta tramite copie fisiche o in streaming.

Cosa sono le royalties meccaniche
courtesy by pexel.com

Quindi, quando un rivenditore vende una copia fisica, vinile, CD o file .mp3, l’artista musicale guadagna denaro. Inoltre, un artista guadagna royalties meccaniche quando la sua musica viene visualizzata o ascoltata tramite streaming digitale (ad esempio Apple Music, Spotify).

Ci sono in realtà altri modi altri modi, spesso trascurati, per guadagnare royalties meccaniche e sono: suonerie telefoniche, cover, colonne sonore, base per karaoke, biglietti d’auguri interattivi.

E’ importante sapere che, per il calcolo delle royalties, una canzone viene divisa in due: composizione e registrazione master. La composizione, associata all’editoria, è la proprietà del testo e la melodia sottostante di un brano musicale, mentre il master è la proprietà della registrazione particolare (e solitamente fisica finale) di quella canzone.

Normalmente i cantautori che hanno lavorato alla canzone hanno la proprietà dei diritti di composizione mentre i diritti di registrazione master sono parzialmente o totalmente di proprietà della loro etichetta o distributore. Le royalties di performance, invece, sono specificatamente attribuite solo alla composizione.

Il valore delle royalties meccaniche è determinato in modi diversi a seconda di vari fattori e viene recuperato dalle società di collecting dei vari paesi o, in alcuni casi, direttamente dall’autore tramite contrattazione diretta.

La vendita di CD, vinili, DVD o altri supporti genera automaticamente delle royalties meccaniche, che sono pagate da chi produce il prodotto in base a quote stabilite dalle società di collecting dei vari paesi. Così ogni volta che un brano viene riprodotto, genera royalties: se viene eseguita dal vivo in un pub, mandata in onda alla radio, o usata come musica di sottofondo in un supermercato genera royalties. Coloro che pagano sono le stazioni radio, reti televisive, bar, ristoranti, compagnie aeree, uffici, negozi, cinema ecc.

A seconda dei paesi, il valore delle royalties viene stabilito dalle società di collecting, che provvedono anche alla riscossione e alla ripartizione. Gli store digitali come iTunes, Amazon, Google e altri, generano royalties come se si trattasse di vendita di un supporto fisico (CD), mentre lo streaming (Spotify, Deezer, Tidal) è calcolato in modo diverso, e decisamente basso, ed è sempre gestito da accordi tra provider/collecting/governo che sono a tutt’oggi in discussione.

L’artista musicale, in particolare se si autoproduce, dovrebbe essere consapevole del fatto che guadagnare i diritti d’autore è solo una fase del processo, farsi pagare è più complicato. Se non si sa dove viene utilizzata e riprodotta la musica, potrebbe essere difficile sapere se si sta raccogliendo tutto ciò che si è guadagnato. Per questo avere un editore o un distributore digitale che raccolga le royalties per conto dell’artista diventa essenziale.

Ma i problemi non finiscono qui, Inoltre, la raccolta di royalties internazionali può essere impegnativa. È realisticamente impossibile, o comunque troppo impegnativo, per un autore registrare la propria musica con tutte le società di gestione collettiva di diritti d’autore del mondo. Avere un editore è il mezzo più efficiente per raccogliere questi fondi se la musica viene riprodotta a livello internazionale, soprattutto perché in alcuni paesi potrebbe non essere possibile per un singolo autore raccogliere direttamente le royalties dalle società. In alternativa, l’artista musicale può appoggiarsi a società specializzate nella raccolta di royalties meccaniche a livello globale per fare incetta di tutto ciò che gli è dovuto.


Le 42 leggi universali del digital carisma: La fusione tra vita digitale e reale è il futuro della comunicazione

di Rudy Bandiera
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Si è sempre erroneamente sostenuto che la vita reale e la vita digitale siano distinte, generando errori semantici più volte perpetrati dai media quali “il popolo della Rete”, come se offline il popolo fosse un altro! La verità è diversa: la vita reale e la vita digitale sono due facce della stessa medaglia, anzi sono la stessa faccia della stessa medaglia, ormai talmente fuse in un unico plasma che si potrebbero immaginare come due liquidi di diverso colore lasciati liberi di miscelarsi in un nuovo cromatismo, non più separati ma uniti, amalgamati. Si è sempre parlato di personal branding abbinato alla personalità online e di carisma associato a una tipologia di personalità offline ma, se on e off sono saldati, allora lo saranno anche personal branding e carisma. Il carisma è qualcosa che può essere coltivato anche in ambito digital ovvero anche in non-presenza, dove non occorre la fisicità. Sì, per la prima volta nella storia siamo di fronte a un nuovo modo di approcciarci alla realtà: attraverso la vita reale (VR) e la vita digitale (VD).
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metadata musicali musica streaming

I metadata musicali in concreto.

Su suggerimento dell’unico, ma inestimabile, lettore di questo blog vorrei ritornare sui metadata musicali e sulla loro importanza nella distribuzione musicale.

metadati musicali
I metadati musicali sono fondamentali nei servizi di musica streaming.

I metadata musicali, molto semplicemente, sono le informazioni incluse nei file audio e sono utilizzati per identificare, etichettare e presentare contenuti audio da tutti i principali dispositivi e applicazioni di streaming musicale tra cui smartphone, Spotify, Apple Music, YouTube e tutti i principali servizi di musica online.

Questi dati accompagnano ogni singolo brano su supporto fisico (CD) su file digitale (.mp3) o su un servizio di streaming; sono importanti perché includono informazioni come artista, genere, etichetta, titoli, nome dell’album, numero della traccia.

Senza i metadata le tracce sarebbero semplici file anonimi nell’infinito oceano della musica online; essi diventano indispensabili per una corretta distribuzione sulle piattaforme di streaming, ma soprattutto per una corretta suddivisione delle royalties.
Sono questi dati che consentono alla tua musica di essere correttamente catalogata, ordinata ed identificata ovunque sia disponibile, in particolare su piattaforme come Spotify, Apple Music, Deezer, Youtube, Shazam, Facebook.

Nel post precedente, abbiamo visto che possono esserci errori nei metadata per una scarsa cura nel caricamento da parte della casa discografica, ma devo dire che mi è capitato spesso di vedere gli stessi artisti trattare con sufficienza queste informazioni.

Per evitare ogni spiacevole equivoco, ti consiglio di fornire tutti i metadati scritti nero su bianco al tuo editore discografico o al tuo distributore (se sei un indipendente) è un buon modo per evitare situazioni spiacevoli o equivoci.

I metadata musicali vengono associati ai brani durante il loro caricamento sulle piattaforme di distribuzione, che a loro volta li inviano ai vari store digitali o servizi di streaming. In genere questo lavoro viene svolto da un addetto della tua casa discografica, è a lui che deve pervenire l’elenco corretto dei metadata del tuo album o brano.

Questa è la lista completa dei dati che dovresti fornire per poter distribuire correttamente la tua musica:

  • Titolo della traccia: il nome della tua canzone;
  • Genere: il genere principale della tua traccia;
  • Sottogenere: il genere secondario;
  • Artista Primario: l’artista principale nel brano. Dovrai inserire questo esattamente nello stesso modo per ogni traccia della pubblicazione;
  • Artisti presenti: altri artisti presenti nella traccia. Non scrivere gli artisti presenti nel settore degli artisti primari: ecco a cosa serve questo campo!
  • Compositore: la persona che ha scritto o contribuito alla musica per la canzone;
  • Editore: l’editore che rappresenta il compositore. Inserisci di nuovo il nome del compositore se non c’è un editore;
  • Produttori: il credito del produttore (i) nella traccia;
  • Collaboratori aggiuntivi: tutti gli altri artisti che hanno lavorato su quella traccia e che devono essere accreditati;
  • Contenuto esplicito: indica se la traccia contiene contenuti espliciti;
  • Lingua delle canzoni: la lingua dei testi cantati;
  • Editore dei testi: l’editore che rappresenta l’autore dei testi;
  • Proprietario della composizione: il proprietario dei diritti di composizione;
  • Anno di composizione: l’anno in cui è stata composta la traccia;
  • Proprietario del mastering di registrazione: il proprietario della registrazione audio;
  • Anno di registrazione: l’anno in cui è avvenuta la registrazione;
  • Lingua di rilascio: la lingua del rilascio stesso. Anche se intendi distribuire la tua pubblicazione all’estero, la lingua di rilascio deve essere la lingua dei metadati che stai inserendo;

Questa lista potrebbe sembrare eccessiva ma ricorda che queste informazioni sono la carta d’identità del tuo brano, più di ogni altra cosa quello che lo rende riconoscibile. Nel dubbio, puoi sempre confrontarti con il tuo editore per una corretta compilazione.

Devi tener presente che su queste informazioni viene eseguito un controllo di qualità dai servizi di streaming, se qualcosa non è corretto o non conforme alle regole, potrebbe compromettere il rilascio del brano.

Assicurati che l’ortografia e la formattazione sia corretta, per esempio non usare l’apostrofo al posto di un accento, usa la giusta vocale accentata: la tecnologia digitale è per sua natura “stupida” e non interpreta, ma legge alla lettera ciò che scrivi.

Spero che questo articolo ti sia stato utile. Se hai altri dubbi sull’argomento lasciami un commento o scrivimi una email, vediamo se posso esserti utile.


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marketing musicale metadata musicali musica streaming royalty

L’importanza dei Metadata nello streaming musicale.

Se sei un musicista che pubblica musica dovresti già sapere cosa sono i metadata che accompagnano ogni brano pubblicato ma, dato che preferisco non dare nulla per scontato, credo che stendere due righe su questo elemento così importante nella distribuzione musicale on line sia doveroso.

metadati musica streaming
Foto di ArtTower da pixabay.com

Il lockdown causato dalla pandemia, interrompendo le esibizioni live, ha messo in mostra la criticità dei bassi compensi offerti dalle piattaforme di streaming agli artisti aprendo un ampio dibattito sul tema. Una discussione che coinvolge diversi aspetti della questione royalties, ma c’è anche da dire che si è notata una certa leggerezza da parte di artisti ed etichette nella compilazione dei metadata; una scarsa attenzione che inevitabilmente comporta una scorretta ripartizione dei diritti tra le varie parti coinvolte.

I metadata sono le informazioni cruciali inserite nei siti dei distributori quando viene rilasciato un brano o un album. Questi includono titoli, nomi di cantautori e produttori, editori, etichette discografiche e altri dettagli. Quando queste informazioni non vengono inserite correttamente, è molto alto il rischio che autori e produttori non raccolgano i frutti del loro lavoro.

Contrattempi nei metadata si verificano ad ogni livello e parte del problema è anche la mancanza di uno standard universale nel settore discografico. Nonostante la consapevolezza della necessità di una maggior trasparenza nella gestione della musica in digitale, il tema dei metadata non sembra tra i primi capitoli nell’agenda del music business.

Puoi verificare tu stesso che alcuni titoli sulle piattaforme di streaming mancano di accrediti corretti o incompleti. Solitamente questo accade quando un artista indipendente pubblica i suoi progetti senza un’adeguata attenzione o più semplicemente per pigrizia. Ma ci sono anche casi che un’etichetta importante rilasci una canzone o un album senza i metadata adeguati.

Come artista, autore, musicista o interprete, al momento del rilascio di una pubblicazione, ti consiglierei di non dare nulla per scontato e inviare al tuo editore discografico tutte le informazioni utili per compilare correttamente i metadata legati al tuo progetto: titolo, autori, interpreti, producer e magari i musicisti coinvolti; ci sono anche altre informazioni “tecniche” che però sono di competenza diretta dell’editore.

Questa attenzione di artisti ed editori però non basta per risolvere tutti i problemi. Su una scala più ampia, mentre tecnologia informatica e settore discografico sono sempre più legati, l’importanza dei metadata e degli standard di dati nella musica, richiederebbe livelli più elevati di innovazione, protocollo e collaborazione per tutte le parti chiave coinvolte, tra cui piattaforme di streaming, importanti etichette discografiche, società tecnologiche e case editrici.

Ma mentre aspettiamo che le parti trovino un sistema per creare un business musicale più equo, i metadata restano cruciali: abbine cura.


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musica streaming Spotify

Le Royalties Spotify spiegate al popolo

Se sei curioso di scoprire come Spotify corrisponde ai musicisti le royalties derivate dall’ascolto sulla piattaforma ti viene in aiuto un prezioso piccolo manuale scritto e reso disponibile gratuitamente da Jeff Price, CEO di Audiam e fondatore di TuneCore.

Audiam di Jeff Price cura la raccolta dei diritti digitali per molti artisti tra i quali troviamo Bob Dylan, Red Hot Chili Peppers e Metallica. Il bisogno di comprendere al meglio come tutelare gli interessi dei suoi clienti, lo ha spinto a raccogliere tutte le informazioni in suo possesso in una guida pratica, che non solo gli ha chiarito le idee sulla complessità del tema, ma riesce a fare un po’ di chiarezza sulla complessità della distribuzioni delle royalties nell’epoca dello streaming (detto fra noi, non è che qualche anno fa le cose fossero più trasparenti).

“Dovrebbe esserci una risposta semplice e comprensibile. Ma non c’è. E per essere sinceri, non è davvero colpa di Spotify, né è colpa dell’industria della musica, o colpa delle leggi statunitensi sul Copyright. Ma quando metti insieme tutte e tre queste cose, ottieni uno strano mostruoso schema di royalties che è risultato da un nuovo modello di business musicale basato sui consumatori che pagano per avere accesso alla musica, piuttosto che pagare per possederla. “

Nonostante le difficoltà incontrate nella raccolta e organizzazione delle informazioni, con The Definitive Guide To Spotify Royalties  Jeff Price ci regala in 50 pagine una piccola guida che, tra le altre cose, consente ai musicisti di meglio comprendere alcune dinamiche che regolano il complesso mercato dei diritti d’autore.

Scarica The Definitive Guide To Spotify Royalties

Royalties Spotify
Courtesy Pixabay.com

Nuove Economie della Musica

di Andrea Portioli
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Un libro che mette in chiaro i nuovi ruoli e le nuove economie tra loro interconnessi nel fantastico e per alcuni indecifrabile mondo della musica. Dalla bolla dello streaming alle tendenze social, dai sistemi di prevendita all’evoluzione dei club per la musica dal vivo. Non esiste un libro simile che raccolga, con uno sguardo corale ma una sintesi concettuale forte, linee guida generali e le loro declinazioni possibili per vivere di musica dal vivo e di discografia oggi. Le economie dello spettacolo sono, per la maggior parte delle persone, un magma oscuro di percentuali, royalties, somme e sottrazioni di qualcosa, per cui alla fine non è mai chiaro come facciano a tornare i conti. Si può vivere di musica? Se si lavora bene, sì.